lunedì 16 marzo 2009

Omaggio a Salvador Allende


Dopo la caduta delle Torri gemelle, l’11 settembre è diventata una data intrinsecamente legata alla tragedia che ha segnato una frattura nella storia del mondo contemporaneo, quasi un termine a sé stante che rimanda automaticamente la memoria alle immagini per anni ossessivamente ripetute dai media internazionali. E così si tende a dimenticare che l’11 settembre indica anche un evento meno sbandierato e strumentalizzato, ma non per questo meno tragico, avvenuto 28 anni prima del crollo delle torri gemelle. L’11 settembre 1973 le forze armate cilene guidate dal generale Augusto Pinochet misero in atto il golpe che pose fine al governo democratico e riformista di Salvador Allende e aprì la strada a 17 anni di sofferenze e di persecuzioni per il popolo cileno. In quella stessa occasione il Presidente Allende, personaggio chiave della storia cilena del secolo scorso, venne assassinato mentre cercava di resistere all’interno del Palazzo della Moneda. Ma anche in quelle ultime ore drammatiche, nel pieno dell’assedio, nel suo messaggio al popolo Allende scelse parole che parlavano al futuro: “La storia non si ferma né con la repressione né con il crimine, è possibile che ci schiaccino, però il domani sarà del popolo. L’umanità avanza per la conquista di una vita migliore”. È così che nasce il mito di Salvador Allende, che ancora oggi si estende su tutti coloro che in Cile e nel mondo credono nella libertà e nel progresso civile e sociale.
L’impegno politico di Salvador Allende cominciò nel 1933, quando fu tra i fondatori del Partito Socialista del Cile e venne eletto Segretario Provinciale del partito a Valparaiso, la sua città natale. Il suo obiettivo era un sistema sociale che, attraverso riforme radicali e con metodo democratico, potesse trasformare lo stato e le istituzioni fino a realizzare una società che garantisse a tutti gli esseri umani la possibilità di sviluppo della persona e dove il potere fosse effettivamente nelle mani dei lavoratori. Al quarto tentativo, il 3 novembre 1970, Allende venne eletto presidente – con il 36,3 percento dei voti contro il 35 di Alessandri, il candidato della destra – a capo di Unidad popular, una coalizione composta da socialisti e comunisti insieme al partito radicale e al Mapu (partito nato dalla scissione a sinistra della democrazia cristiana) e con l’appoggio esterno del Mir, un piccolo movimento di orientamento castrista.
La via cilena al socialismo intrapresa da Allende si proponeva il superamento di antiche e profonde disuguaglianze sociali, attraverso radicali misure come la riforma agraria, l’aumento dei salari, la nazionalizzazione del rame, e la riforma del sistema sanitario e scolastico. Ma il governo di Allende si è dovuto scontrare sin dal principio con delle forti resistenze interne e con un’aperta opposizione esterna, guidata in primo luogo dagli Stati Uniti di Nixon e Kissinger. Di fronte alla fragilità di Unidad popular, che controllava l’esecutivo, ma non il potere legislativo né quello giudiziario, alle offensive della destra e alla minaccia di intervento militare, Allende cercò sempre di collaborare con la Democrazia Cristiana, ma si scontrò con il disegno golpista, con le fratture della Democrazia Cristiana e con contrasti interni del suo schieramento sfruttati dalla destra.
La vicenda di Allende si inserisce in un contesto storico caratterizzato dai processi di liberazione, di risveglio e di rottura dei vecchi schemi che hanno segnato il panorama mondiale alla fine degli anni 60. Ma di fronte a tali processi e alle illusioni della rivoluzione vi è stata anche la dura reazione da parte dei poteri conservatori che in molti paesi dell’America Latina – tra cui in primo luogo il Cile – ha portato a un’eclissi della democrazia e all’affermarsi della dittatura che ha segnato per un ventennio la storia di quei popoli. Gli anni di Pinochet furono anni di grandi sofferenze per il popolo cileno ed ebbero un forte impatto sulla società civile di tutto il mondo, soprattutto nei paesi europei, dove i concetti di intollerabilità del crimine politico erano ampiamente affermati e dove l’uso della violenza del regime militare risultava inaccettabile. La Commission International de Investigacion de los Crimenes de la Junta Militar in Cile ha accertato che il regime di Pinochet è responsabile di 8000 morti in azione, 2400 uccisi o desaparecidos e almeno 5000 internati e detenuti politici nel primo e nel secondo anno. Furono colpiti tutti i ceti, e non solo le persone sospettate di contrastare il regime, ma anche studenti, uomini politici, intellettuali, operai, contadini e sindacalisti, perseguitati dalla carovana della morte fino nel nord e sud estremo del paese. Il regime colpiva anche fuori dai confini del Cile e alcuni oppositori vennero assassinati mentre erano in esilio in altri paesi.
Come in molti paesi d’Europa, anche in Italia si sviluppò un forte movimento di solidarietà e vennero proclamati unitamente da Cgil, Cisl e Uil scioperi di solidarietà con Allende e con il popolo cileno. La repubblica italiana non ha mai riconosciuto il regime di Pinochet e dopo il golpe molte riflessioni e dibattiti hanno animato la vita politica nel nostro paese. La vicenda del popolo cileno si era impressa così duramente nell’immaginario collettivo anche perché il progetto di socialismo della libertà avanzato da Salvador Allende non aveva precedenti in America Latina e aveva suscitato entusiasmo e aspettative in tutto il mondo. Allende è stato in grado di parlare al di là dei confini e uno dei pochi presidenti che, eletti democraticamente, abbiano tentato la costruzione di una società socialista nel rispetto della costituzione. Il suo sacrificio è legato ai tentativi di giustizia sociale di cui Allende è simbolo nel mondo. Egli era pienamente consapevole dei rischi che correva, ma, nonostante ciò, ha incarnato la lunga tradizione di lotte della sinistra del Cile, battendosi per i lavoratori e per i settori più umili del suo paese con un programma di governo che prevedeva il controllo pubblico di settori chiavi dell’economia, riforme istituzionali significative, il decentramento dello stato e forme di partecipazione e di controllo dal basso.
Con il proprio sacrificio Allende ha gettato un seme importante, che ha consentito al Cile di sopravvivere e di uscire dagli anni bui del regime di Pinochet. Oggi in Cile socialisti, democristiani e radicali governano insieme con un primo ministro donna, Michelle Bachelet, socialista e figlia di un alto ufficiale torturato fino alla morte per le sue idee democratiche. Questo risultato storico della democrazia è stato reso possibile grazie all’impegno unitario del popolo cileno e al sacrificio personale di Salvador Allende. Ma il seme gettato da Allende va anche al di là dei confini del proprio paese, dal momento che è ancora in grado di parlare al nuovo mondo segnato dalla globalizzazione, dalle innovazioni tecnologiche e dai nuovi equilibri che hanno accentuato asimmetrie, precarietà e incertezze. La riflessione su quanto ha cercato di fare Allende nel secolo scorso è ancora attuale, non solo in Cile, perché la sfida contro la povertà e l’ingiustizia non è ancora vinta, povertà e emarginazione sono ancora presenti, acute ed estese disuguaglianze sociali non sono state ancora superate. Per questo è importante ricordare, tenere in vita e trasmettere alle nuove generazioni esperienze che – come quella di Salvador Allende in Cile – sono in grado di comunicare il senso più profondo e irrinunciabile della politica e della democrazia.

1 commento:

  1. Ottima idea riassociare l'11 settembre anche a Salvador Allende, cosa che molti si son dimenticati
    Buon lavoro

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